Contraddittorio preventivo ko. Accertamenti, 85 giorni in più. Fisco in ferie (ma a metà). No a conciliazione su anni diversi. Comuni alle prese con un ingorgo di scadenze per la Tari. Canone unico, consegnatari e rapporti con partecipate: le massime della Corte dei conti.
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Contraddittorio preventivo ko
Dimenticati gli atti tributari degli enti locali che non devono essere preceduti dal contraddittorio preventivo. Il decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 24/4/2024, in G.U. n. 100 del 30/4/2024, non indica alcun provvedimento tipico di accertamento e riscossione delle entrate, per i quali le amministrazioni non sono tenute a inviare lo schema di atto e ad attivare il contraddittorio anticipato con i contribuenti. Il decreto fa riferimento agli enti territoriali soltanto nelle premesse, laddove prevede che le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente (legge 212/200) ”valgono come principi” e vanno recepite nei rispettivi ordinamenti. Tra le ipotesi di atti esclusi dal contraddittorio, che possono essere adottati anche dagli enti locali, il provvedimento ministeriale indica gli atti della riscossione e le azioni esecutive: ruoli e cartelle di pagamento, iscrizioni ipotecarie, fermi amministrativi, intimazioni di pagamento. Tuttavia, in via interpretativa si possono individuare i casi in cui non è obbligatorio avviare il contraddittorio prima della notifica dell’atto impositivo finale, in base a quanto disposto dall’articolo 6- bis dello Statuto. La norma non richiede la notifica dello schema di atto, che precede quello finale, nelle ipotesi di atti automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo delle dichiarazioni. Quindi, gli atti con i quali vengono liquidate le tasse e imposte dovute dai contribuenti. Non a caso è disposto nell’art. 3 del dm che si considera di pronta liquidazione ogni atto emesso dall’amministrazione in seguito al controllo delle dichiarazioni. Vengono citati al riguardo gli avvisi di liquidazione per omesso, insufficiente o tardivo versamento. Atti che nella fiscalità locale, impropriamente, vengono denominati avvisi di accertamento. Al di là del nomen iuris conta la sostanza: sono degli atti di liquidazione
Accertamenti, 85 giorni in più
ll decreto legge n.39 del 29/3/2024 chiude la querelle in merito alla possibilità, ex art. 67 dl n. 8/20, di inviare ai contribuenti avvisi di accertamento 85 giorni dopo lo spirare del termine del 31/12 del quinto anno successivo previsto dall’art. 1, comma 161, della legge n. 296/06. Ebbene, l’art. 7, comma 3, del dl n. 39/24 chiarisce la questione affermando che, nonostante il rinvio al 30 aprile dell’applicazione del principio del contraddittorio di cui all’art. 6-bis della legge n. 212/2000, quegli enti che avevano inviato, prima della data del 29/3/2024, lo schema di avviso con invito al contraddittorio possono sempre fruire del comma 3 di tale articolo, ovvero la proroga dei termini di decadenza. Ferreo corollario logico, prima ancora che giuridico, a questa affermazione è che sia legittimo inviare tale tipo di avviso anche dopo il 18 gennaio; e questo è possibile solo se si ritiene vigente e applicabile la proroga degli 85 giorni anche per l’annualità in decadenza al 31/12/2023. Diversamente argomentando, l’art.7, comma 3, sarebbe lettera morta e non troverebbe mai applicazione vanificando il senso di quanto il legislatore ha voluto espressamente prevedere, ovvero legittimare l’applicazione della proroga di 85 giorni anche alle annualità successive al 2020
Fisco in ferie (ma a metà)
Niente stop all’invio nei mesi agosto e dicembre da parte dell’agenzia delle entrate degli atti che se non notificati rischiano di pregiudicare il rispetto dei termini di prescrizione e decadenza in materia di riscossione. Invio dei dati al portale tessera sanitaria in modalità semestrale con scadenze che restano al 30 settembre per le spese “mediche” sostenute nel primo semestre dell’anno ed al 31 gennaio (dell’anno successivo) per quelle invece corrisposte nel secondo semestre dell’anno precedente. Queste alcune delle indicazioni fornite dall’agenzia delle entrate con la circolare 9/E di ieri con la seconda parte di direttive sul dlgs 1/2024 di semplificazione degli adempimenti tributari, in particolare sulle misure in materia di pagamento dei tributi, di comunicazioni obbligatorie e di servizi digital
No a conciliazione su anni diversi
Con ordinanza n. 5764/2024 la Corte di cassazione ha ritenuto insufficientemente motivato il provvedimento di accertamento attraverso il quale il Comune, contestando un maggior valore dell’area edificabile ai fini Imu, ha richiamato, a sostegno della propria pretesa, il valore definito nell’ambito di una conciliazione giudiziale riferita ad una diversa annualità rispetto quella cui si riferiva il provvedimento impugnato. La Corte chiarisce che la conciliazione giudiziale (art. 48, decreto legislativo n. 546/1992) è un istituto deflattivo di tipo negoziale che si sostanzia in un accordo tra le parti, paritariamente formato, avente efficacia novativa delle rispettive pretese limitatamente all’annualità interessata, nel senso che solo avuto riguardo alla detta annualità è preclusa ogni valutazione in ordine alla congruità della valutazione in tal guisa concertata.
Comuni alle prese con un ingorgo di scadenze per la Tari
La questione più importante è legata al termine di approvazione di regolamenti, Pef e tariffe Tari, fissato al 30/4 di ciascun anno in virtù dell’art. 3, c. 5-quinquies del dl n. 228/2021 convertito in legge n. 15/2022, salvo differimento a data successiva del termine di approvazione del bilancio. Un nuovo adempimento imposto con Deliberazione Arera n. 15/2022. L’art. 58 prevede infatti un obbligo per tutti i gestori (compresi quelli di Tari e tariffa corrispettiva) di comunicare all’Autorità entro il 31/3 di ogni anno una serie di dati in materia contrattuale e tecnica della gestione dei rifiuti: schema regolatorio adottato, numero utenze domestiche e non domestiche, dati registrati per i comuni negli schemi II, III e IV e relazione per quelli nello schema I, devono essere comunicati attraverso la piattaforma web aperta dal 15/4.
Canone unico, consegnatari e rapporti con partecipate: le massime della Corte dei conti
Le «terre di originaria proprietà̀ collettiva della generalità degli abitanti del territorio di un Comune o di una frazione, imputate o possedute da Comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate» costituiscono beni collettivi, appartenenti alle comunità insediate sul territorio di riferimento. Esse afferiscono, insieme ad altre tipologie di beni collettivi previsti dalla legge, al “demanio o patrimonio civico”, che costituisce una categoria non sovrapponibile a quelle del demanio comunale e del patrimonio indisponibile dei comuni. Il canone unico patrimoniale, nelle fattispecie di occupazione di aree e spazi pubblici, è applicabile dai Comuni ai soli beni del demanio comunale e a quelli del patrimonio indisponibile dell’ente. Consequenzialmente, il canone unico non può, pertanto, trovare applicazione nelle ipotesi di temporanea occupazione delle stesse terre di proprietà collettiva. Sezione regionale di controllo del Piemonte – Parere n. 86/2024
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Il video
https://www.youtube.com/watch?v=IsyCMIuTung
Il podcast
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